“Ogni paziente curato è una grande vittoria”. Luca De Siati, ufficiale medico del Corpo Militare CRI

di Danilo Melandri

Luca De Siati è medico chirurgo, specialista di Medicina Interna e Medicina d’Urgenza, specialista in Cardiologia e Dirigente Medico presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma. È volontario del Corpo Militare CRI come Ufficiale Medico, con il grado di Sottotenente. Partito in missione per Bergamo, ha prestato servizio indossando la divisa del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana. È stato in prima linea in questa battaglia contro il COVID-19 ed ha raccontato la sua esperienza.

“Per me è stata la prima missione effettuata con questo prestigioso Corpo e ne sono onorato. La mia attività in questa emergenza si è svolta prevalentemente come ufficiale medico volontario presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, prestando attività assistenziale ai pazienti COVID positivi, nei reparti di pneumologia-COVID e terapia sub-intensiva-COVID.

Arrivato in ospedale con gli altri colleghi, dopo una rapida preparazione ai principali aspetti tecnico-scientifici di questi pazienti ed al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, siamo stati direttamente inseriti nei turni assistenziali dei diversi reparti COVID.

Durante la prima settimana di attività ho avuto modo di conoscere nei singoli dettagli le caratteristiche principali di questa malattia, migliorando ed affinando sempre di più l’approccio terapeutico.

Purtroppo in questo periodo ho avuto modo di vedere sui volti e negli occhi dei pazienti, e su quelli dei medici, infermieri e di tutti gli operatori sanitari, la stanchezza e la sofferenza per le difficoltà enormi passate e ancora presenti. Ho potuto notare la forza e la dedizione e la profonda dignità con cui ogni giorno affrontavano le continue difficoltà in totale simbiosi tra pazienti e sanitari. Un lavoro di equipe e di collaborazione continua tra tutti per un unico scopo: salvarsi e salvare vite umane. E questo mi ha dato la forza, come per tutti, di reagire, andare avanti e combattere la giusta battaglia. E quando ho detto ad un collega che fortunatamente eravamo in una struttura molto grande e con molti posti letto, mi ha risposto: ‘anche l’ospedale più grande del mondo non avrebbe potuto arginare l’enorme ondata di pazienti gravissimi che ci sono arrivati’.

Ho conosciuto il COVID-19? Si, l’ho conosciuto abbastanza. Come tanti miei colleghi prima di me. Ho capito che è un nemico. Un nemico cattivo. Molto cattivo ed estremamente subdolo. Colpisce il corpo umano in tutti i modi possibili, causando danni all’intero organismo. Non ti puoi distrarre un attimo, perché appena ti distrai lui si fa sentire, diventa ancora più aggressivo e colpisce senza pietà. Come nel caso del giovane di 27 anni che si è aggravato in 10-15 minuti circa durante una delle visite ed è stato subito intubato riuscendo a sopravvivere ad una complicanza polmonare tra le più temibili. Però ora lo abbiamo scoperto, gli abbiamo dato un nome: COVID-19. Lo conosciamo, e quindi non potrà durare troppo a lungo: è destinato ad essere eliminato.

Infatti, verso la fine della prima settimana e nella seconda settimana della mia attività a Bergamo, il protocollo terapeutico applicato al “Papa Giovanni”, come lo chiamano i colleghi, ha iniziato a dare i suoi risultati. I pazienti vanno meglio. Migliorano le condizioni cliniche. Migliorano i quadri radiografici. Finalmente si vede una luce.

Cominciamo a sorridere. Ma soprattutto cominciamo a dimettere i pazienti, negativi al tampone ed in condizioni cliniche da poter tornare al proprio domicilio o in strutture sanitarie appositamente attivate. Ed ogni volta è una festa. Ogni dimissione, ogni paziente curato è una grande vittoria. Una festa interiore, una gioia che traspare in tutta la sua forza nei sorrisi tra il personale e i pazienti che, forse, non hanno capito ancora bene cosa è successo, ma sanno che torneranno a casa con i loro familiari. Ed anche se vivono ancora nella paura per quello che hanno vissuto e per quello che hanno visto sono sicuramente più sollevati e rassicurati.

Durante il giro visita, un giorno, mi avvicino al letto di una paziente e vedo una foto sul suo mobiletto che la ritrae nel letto. Mi fa cenno con gli occhi che la posso prendere. E così la prendo, la guardo meglio e capisco che qualcuno le ha fatto quella foto a letto in ospedale e che l’avevano mandata a i suoi familiari. I suoi nipoti gliela avevano rimandata indietro attraverso il personale del reparto. Sul retro c’era scritto: ‘Ciao nonna. Sei tutti noi. Ti vogliamo bene e ti aspettiamo tutti a casa per festeggiarti quando tornerai con noi’. Ho saputo poi che quella signora è stata dimessa pochi giorni dopo, quando sono andato via.
Quello che stiamo vivendo è al di là di ogni ragionevole immaginazione, ma è tutto reale, ed in brevissimo tempo gli uomini e la comunità scientifica, prima hanno dovuto capire quello che stava succedendo, e successivamente accettare gli eventi drammatici ed attivarsi per affrontarli e risolverli. Da ora in avanti le nostre abitudini di vita dovranno tenere conto della presenza di questo virus o di altri agenti patogeni infettivi che si possono ripresentare. E la continua lotta dell’uomo contro i microrganismi patogeni. Il mondo riuscirà ad uscire da questa tragedia immane, ma dopo, inevitabilmente dovrà concentrarsi per trovare tutti i mezzi possibili per contrastare eventi catastrofici come questo. In prima linea, con la prevenzione e l’attivazione di tutte le misure contenitive attuabili, con piani di intervento già programmati da attivare immediatamente in base ai diversi livelli di gravità del problema. In secondo luogo, concentrare la maggior parte delle risorse disponibili nella ricerca di mezzi diagnostici ad alta sensibilità e specificità e possibilmente rapidi. Ed infine trovare le terapie più efficaci e sicure da applicare, senza mai dimenticarsi che la convivenza tra l’essere umano ed i microrganismi esisterà sempre e deve essere gestita dai nostri comportamenti affinché non diventi una minaccia letale per il genere umano.

Comunque ora sono a casa, la missione come volontario è temporaneamente sospesa e sto recuperando le capacità operative. Sono con mia moglie ed i miei figli che ringrazio per il loro fondamentale supporto, per le belle parole che hanno rasserenato spesso la mia mente stressata ed a volte impaurita. Grazie a tutti i colleghi, al personale sanitario e agli operatori della CRI e dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo per avermi sostenuto in questo momento di profonda crescita professionale ed umana. Grazie al Corpo Militare della Croce Rossa Italiana ed alla Croce Rossa Italiana stessa”.

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