La tragedia di chi muore sul posto di lavoro è inaccettabile

di Maria Vittoria Cocozza

Comitati ed associazioni, provenienti da tante Regioni, hanno spesso manifestato uniti per la sicurezza sui luoghi di lavoro e la fine definitiva delle sciagure che sconvolgono  le famiglie. I settori più colpiti sono edilizia e agricoltura.

A giugno di quest’anno, ad esempio, un numeroso gruppo di lavoratori è sceso in piazza davanti alla organizzazione delle imprese per denunciare non solo i numerosi morti sul lavoro, ma anche i numerosissimi feriti (quasi tre feriti al giorno).  La rabbia di questi lavoratori li spinge a denominare quelle stragi di innocenti non come ‘morti sul posto di lavoro’ ma, in caso di accertamenti giudiziari per eventuali responsabilità sulla base e inchieste avviate sulle cause delle disgrazie, come omicidi se dovuti a  mancanze da parte dei responsabili aziendali.

 La protesta è stata ascoltata e si è allargata in tutta Italia, passando per Modena, città in cui più di 50 aziende è stato proclamato lo sciopero, affinché in massa si aderisse alla manifestazione.

Anche a Napoli, più a sud, molti hanno aderito ad una manifestazione più che pacifica contro i lutti sul lavoro, consistita nella stesura di un tappeto di caschi macchiati di rosso, simboleggianti il sangue di quelli che ci hanno rimesso la vita proprio in quei caschi.

Continuando a scendere lungo lo stivale, anche a Brindisi si è manifestato per questi infortuni sul posto di lavoro. Quello stesso giorno, il 28 maggio, in molte altre piazze di Italia ci si ribellava in contemporanea per lo stesso motivo. Tutto lo sgomento e la disperazione che questo tema ha portato nelle piazze e nelle case degli italiani può significare solo una cosa: il fenomeno dei morti sul lavoro è un’emergenza.
Secondo i dati INAIL i morti della prima metà del 2021 sono all’incirca 540, con una crescita dei casi tra i giovani dai 20 ai 29 anni. Ultima tragedia nota è quella di Laila El Harim, morta il 3 agosto a Modena, per via della fustellatrice nella fabbrica in cui lavorava. La donna, di quarant’anni aveva una figlia e la sua storia rimanda inevitabilmente ad un’altra disastrosa perdita, stavolta di una giovanissima ragazza, Luana D’Orazio, morta a Prato a soli ventidue anni, risucchiata da un macchinario.
Questi sono solo due degli innumerevoli esempi di vite spezzate all’improvviso, un giorno come l’altro, mentre ci si adoperava per vivere, per crescere e per migliorare. Il bramato lavoro, ciò su cui è fondata la nostra Repubblica, è lo stesso, per colpa dell’involuzione del nostro paese, a strappare vite e sorrisi a innocenti.
I dati più tristi fornitici dal primo semestre di INAIL sono quelli che menzionano un incremento di infortuni tra i più giovani. L’unico aspetto che si può, entro i dovuti limiti, chiamare ‘positivo’ è il numero delle morti sul lavoro dei primi sei mesi del 2020 che, rapportato alla prima metà del 2021, è in enorme calo. Questo però, non è sintomo di miglioramenti per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, ma solo di un rallentamento delle attività lavorative causa Covid, che di morti ne ha fatti altrettanti. Osserviamo le statistiche dell’anno passato messo a confronto con il corrente: 

-Casi di morte nel Nord-Ovest passano da 213 a 128;
-Casi di morte al Centro si passa da 101 a 102;
-Casi di morte al Sud si passa da 115 a 157.
-Casi di morte nelle Isole si passa da 34 a 33. Anche per i due sessi vi è una notevole differenza: calo del 15% per le donne e del 4.5% per gli uomini.

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