RECENSIONE BONES AND ALL

di Samuele Lupi

Luca Guadagnino torna al cinema. E lo fa in modo ambizioso e coraggioso, con un road movie horror sentimentale, che dimostra la voglia di sperimentare nuovi confini, senza rimanere ancorato alla sua zona di comfort.

Bones and All. Fino all’osso. Pasto completo. È il significato del titolo del film che, infatti, divora lo spettatore visceralmente, non lasciando nulla.

Anni ’80. Maren e Lee sono due adolescenti americani. Giovani, belli e cannibali. Conosciutisi per caso, i due partono attraversando il Midwest: la meta è trovare la madre di Maren, che lei non ha mai conosciuto. Un viaggio che sa tanto di fuga. La fuga di due ragazzi dalla loro condanna.

Lei abbandonata da un padre rassegnato, lui con una casa da cui scappa e torna continuamente, per via degli incubi insediati nel ricordo di un rapporto difficile con il padre, il film dà importanza al rapporto genitore-figlio, la cui risposta sembra essere l’evasione.

La coppia protagonista non è altro che lo specchio di qualsiasi altra coppia emarginata da una borghesia bigotta nel periodo del “cannibalismo sociale” capitalista negli anni reaganiani.

Il ritrovato Timothée Chalamet, dopo Chiamami col tuo nome, e Taylor Russel, attrice emergente dalla grazia innata, hanno interpretato i due personaggi in modo più che convincente. Soprattutto il primo, la cui recitazione è anche molto fisica, si è calato in un ruolo che sembra essere disegnato per lui.

Il regista italiano riesce a portare sul grande schermo un film di altissimo livello. D’altronde si tratta di un maestro dalla spiccata sensibilità visiva, che gli permette di catturare immagini suggestive, affascinanti e, quando serve, disturbanti. Le sue scelte registiche, basate su un vasto uso di dettagli e particolari, alternato con virtuosi movimenti di macchina, gli hanno permesso di vincere il Leone d’oro all’ultima edizione del Festival del cinema di Venezia per la miglior regia.

Lo stesso discorso vale per la fotografia, che si concede a un’estetica vintage, regalando un vero spettacolo visivo.

E ancora, Guadagnino, si sa, possiede una rara padronanza della musica. La usa in maniera intelligente, con grande dimestichezza e maestria, riuscendo ad enfatizzare la delicatezza di alcune scene e, allo stesso modo, scorticando l’interiorità dello spettatore, in modo disturbante. Insomma, una miscela di immagini e suoni che lo rendono un ottimo film, a cui manca, però, una direzione precisa: a volte sembra voler suscitare pena per i due giovani, in altre occasioni vuole disgustarci con immagini raccapriccianti.

Il quesito da porsi è, dunque, dove il film voglia andare e cosa davvero voglia comunicare. Magari, chissà, sarà proprio questo che lo rende un gran film? Buon appetito!

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