RECENSIONE THE FABELMANS

di Samuele Lupi

“I film sono sogni che non dimenticherai mai”. Questo è ciò che un giovanissimo Steven Spielberg si sente dire dalla madre prima di vedere un film in sala per la prima volta.

Eclettico, ispirato e visionario. Molto più che un semplice regista. Un artista capace di creare innumerevoli storie. Da quelle più ordinarie, ma mai banali, a quelle più inconsuete. Spazia tra la fantascienza, il genere storico, fino al musical. Uno dei migliori nel raccontare storie capaci di trascinare lo spettatore verso nuove realtà.

Con “The Fabelmans” il cineasta statunitense fa luce su un passato adolescenziale fatto di problemi familiari, bullismo e uno smodato amore per i film, con un intimo progetto autobiografico.

Il film affascina già per il dualismo del titolo, che si riferisce al cognome del suo pseudonimo, ma lessicalmente può anche essere letto come “fable man”, ossia “uomo delle favole”.

Il piccolo Sammy, interpretato da Gabriel Labelle, è un bambino prodigio, che fin dall’età di sette anni realizza brevi cortometraggi tra le mura di casa, sostenuto da una madre pianista, Michelle Williams, e un padre ingegnere, Paul Dano. Se la prima, artista, lo sostiene, il secondo, che paragona i film a una macchina, lo fa passivamente, non credendo che possa rappresentare una reale opportunità lavorativa. Ed è proprio dal fondersi dei loro due punti di vista sulla settima arte che nasce quello del protagonista: il cinema come estro creativo e cura tecnica.

Metacinematografico e di formazione, il prodotto ricorda allo spettatore come il grande schermo possa rimediare ad una vita complicata e trasformarla, tramite lo sguardo sognante di un ragazzo che vede la realtà da un punto di vista diverso.

Se il film, nella sua parte centrale, cala a tratti ritmicamente di intensità e si getta in alcune scelte narrative discutibili, inizia bene e finisce anche meglio, con un grande omaggio a John Ford che viene descritto come il “miglior regista di sempre”. È interessante notare come egli sia stato interpretato da un altro pezzo da novanta come David Lynch.

Nel complesso un bel film, ben curato tecnicamente, dalla regia alla fotografia, che ci ricorda il motivo per cui amiamo il cinema.

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