Papa Francesco in apertura del mese missionario straordinario

di Danilo Melandri

Il Signore ci chiama a far fruttare i talenti con audacia e creatività. Dio ci domanderà se ci saremo messi in gioco, rischiando, magari perdendoci la faccia. Questo mese missionario straordinario vuole essere una scossa per provocarci a diventare attivi nel bene. Non notai della fede e guardiani della grazia, ma missionari”. Il monito è di Papa Francesco, nell’omelia della preghiera liturgica dei vespri in memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, nella basilica di San Pietro in occasione dell’inizio del Mese missionario straordinario dal tema: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”. Si diventa missionari, spiega il Pontefice, “vivendo da testimoni: testimoniando con la vita di conoscere Gesù; è la vita che parla. ‘Testimone’ è la parola-chiave, una parola che ha la stessa radice di senso di martire. E i martiri sono i primi testimoni della fede: non a parole, ma con la vita. Sanno che la fede non è propaganda o proselitismo, è dono di vita”. Per Francesco non “possiamo tacere la gioia di essere amati, la certezza di essere sempre preziosi agli occhi di Dio”. Questo è l’annuncio “che tanta gente attende. Ed è responsabilità nostra”. Di qui l’invito a chiedersi in questo mese: “Come va la mia testimonianza?”.

L’omissione è il contrario della missione”, ha detto il Papa nell’omelia. Commentando la parabola dei talenti, Il Papa ha annunciato l’apertura del mese missionario straordinario nell’Angelus“al fine di alimentare l’ardore dell’attività evangelizzatrice». Essere missionari significa «diventare attivi nel bene, non notai della fede e guardiani della grazia», né tanto meno vivere una «fede da sagrestia». Perciò, il mese missionario straordinario che si è aperto ieri «vuole essere una scossa» proprio in tal senso. Così papa Francesco durante le preghiera liturgica dei Vespri,nella Basilica di San Pietro gremita di fedeli. Una celebrazione preceduta da testimonianze e orazioni di missionari da tutto il mondo, in un susseguirsi di lingue e di accenti che è divenuta immagine dell’universalità della Chiesa. E proprio sull’essenziale della Chiesa si è soffermato il Vescovo di Roma. Dio, ha ricordato, “ama una Chiesa in uscita”. Anzi, se non è in uscita non è Chiesa. Una Chiesa in uscita, missionaria, – ha poi soggiunto – è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più. Dunque “una Chiesa che non cerca oasi protette per stare tranquilla; desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito” Papa Bergoglio ha invitato a fare missione soprattutto con la testimonianza di vita, sul modello dei martiri che «sanno che la fede non è propaganda o proselitismo», ma appunto “dono di vita”. Da questo punto di vista, ha spiegato il Pontefice, il contrario della missione è l’omissione. Riferendosi alla parabola dei talenti, ha sottolineato che il peccato del servo che ha giocato sulla difensiva è stato non aver fatto del bene.. Una omissione, dunque. «E questo può essere il peccato di una vita intera, perché abbiamo ricevuto la vita non per sotterrarla, ma per metterla in gioco, non per trattenerla, ma per donarla». Quand’è, dunque, che si configura il peccato di omissione? “Pecchiamo di omissione, cioè contro la missione – ha detto il Papa –, quando, anziché diffondere la gioia, ci chiudiamo in un triste vittimismo”, quando cediamo alla rassegnazione: “Non ce la faccio, non sono capace. Ma come? Dio ti ha dato dei talenti e tu ti credi così povero da non poter arricchire nessuno?” Pecchiamo contro la missione, ha aggiunto Francesco, quando, lamentosi, continuiamo a dire che va tutto male, nel mondo come nella Chiesa. Pecchiamo contro la missione quando siamo schiavi delle paure che ovunque ci assillano in ogni momento.

Print Friendly, PDF & Email