recensione BLONDE

di Samuele Lupi

Le ombre della vita di Marylin Monroe raccontata sul piccolo schermo: Blonde, un film Netflix diretto da Andrew Dominik, tratto dall’omonimo romanzo del ’99 di Joyce Carol Oates.

Un prodotto che porta alla luce il complesso senso di alienazione di quella che è stata, probabilmente, la diva più iconica della storia; disagio scaturito da una guerra interiore in cui carne e anima combattono tra loro alla ricerca della propria identità. L’identità di una donna dalle gravi mancanze affettive sin dall’infanzia, con un padre assente e una madre violenta con disturbi mentali, che insieme alle violenze e agli abusi sessuali subiti, renderanno la protagonista avversa alla maternità e ad una stabilità nelle relazioni.

“La dea dell’amore” è stata interpretata con grande coraggio e intensità da Ana De Armas, regalando al pubblico una performance eccellente.

Passato per il festival di Venezia, il film si è reso soggetto ai commenti più contrastanti: da chi ha inneggiato al capolavoro fino a chi lo ha ripudiato. Se non fosse per la durata forse eccessiva e una scorrevolezza che cade ritmicamente di tono, lasciando qua e là dei buchi narrativi, il film si dimostra tecnicamente ineccepibile, con una regia sontuosa in quattro terzi e una fotografia mozzafiato, alternando scene a colori e in bianco e nero che regalano un vero spettacolo per gli occhi.

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