I Colossi del web nella loro massima esposizione

di Maria Vittoria Cocozza


Il web e i suoi colossi continuano il loro sviluppo e la loro espansione, imprimendosi in una rete commerciale sempre più fitta e a pagare, proporzionatamente, meno tasse di un qualsiasi impiegato. Poco più che briciole: quasi 30 miliardi di dollari pagati nel mondo e 80 milioni circa in Italia. Questi dati emergono da un report dell’Area Studi di Mediobanca dedicato alle prime 25 WebSoft, colossi che tra il 2018 e il 2020 hanno visto quasi raddoppiare la loro capitalizzazione di Borsa. 

E, soprattutto, hanno goduto di una aliquota media effettiva del 12,8%, ben al di sotto di quella teorica al 22,4 per cento. Il 40% dell’utile ante imposte infatti è stato tassato in Paesi a fiscalità agevolata, permettendo così ai giganti hi-tech di risparmiare 10,7 miliardi.

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Prendendo in considerazione il triennio 2018-2020, il beneficio è salito a 24,5 miliardi, di cui si sono avvantaggiati soprattutto: Tencent, Microsoft, Alphabet, Facebook e Oracle. La minimum global tax non avrebbe fatto una grande differenza: con un tax rate al 15%, le tasse sul 2020 si sarebbero attestate a 30,3 miliardi. I primi sei mesi del 2021 hanno confermato l’accelerazione del settore con una crescita complessiva del 31,1% dei ricavi e dell’80,2% degli utili (ovvero 27 milioni al giorno, rispetto ai 21 di dicembre) e una enorme liquidità che continua a essere accumulata nei forzieri (639 miliardi a fine giugno, in rialzo del 6% su dicembre).

Per quanto riguarda l’Italia nel 2020 i giganti del web hanno dato occupazione a più di 13mila persone (3mila in più rispetto al 2019 e con Amazon che da sola ne impiega 8.193) e con un fatturato 4,6 miliardi per un un utile registrato ante imposte di 248 milioni, e con un dato di occupazione a più di 13mila persone (3mila in più rispetto al 2019 e con Amazon che da sola ne impiega 8.193).

L’aliquota, si legge nel report, è stata pari al 31,4%, considerando tuttavia il pagamento della digital tax service salirebbe al 40 per cento. Nessuno tra i big o i venti follower considerati dallo studio è made in Italy.

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